YOGADARŚANA, LA VIA DELLO YOGA
“L’unità esiste sempre, la diversità non esiste sempre; viene il momento in cui questa cessa: le duplici, triplici e multiforme differenze sorgono solo dall’illusione.”
(Śiva Saṃhita)
Nella precedente puntata abbiamo identificato una cornice di riferimento per lo hatha yoga. Ora, se vogliamo definire lo hatha yoga come una via, allora questo implica una visione del mondo ivi compresa dell’essere umano. Ovvero il darśana.
Tutte le correnti di pensiero, religiose, culturali o filosofiche si reggono e si fondano su una visione del mondo. Non solo, anche noi ne prendiamo parte e ne siamo influenzati. Basti pensare quanto peso abbia la visione materialista – scientifica quanto peso abbia nella società occidentale in cui viviamo.
Uso le parole dell’immensa Vimala Thakar, perché più chiare di così non si può: “darśana è una parola molto interessante, è una parola in codice per quanto riguarda la scienza dello yoga. Darśana contiene una trinità: drasṭā, colui che vede, dṛsya, ciò che è visto e darśana, la reale visione. La scienza dello yoga si preoccupa di scoprire la relazione tra colui che vede, l’oggetto visto e il risultato che ne deriva.”
Dall’interazione tra osservatore e osservato risulta ciò che chiamiamo comprensione, sapere, consapevolezza.
ADVAITA – LA REALTÀ NON DUALE
Dalla Śiva Saṃhita possiamo trarre le principali indicazioni sulla visione metafisica alla base dello haṭha yoga.
L’inizio degli inizi, il punto di partenza e il punto di arrivo: solo jñāna esiste; quando cade la molteplicità che deriva dalla percezione sensoriale resta una sola realtà.
Non c’è una realtà vera e una falsa, ce n’è una sola coperta dall’illusione, dall’ignoranza – avidyā. Il termine vidyā è molto esplicativo perché non intende una conoscenza transitiva, io soggetto conosco un oggetto bensì d’un tratto il velo si squarcia e si vede. Così avidyā (a privativo quindi non vidyā) è la presenza di questo velo, come gli esempi che il testo stesso ci fornisce: le tazze d’acqua e i riflessi solari, la molteplicità di immagini nel sogno, la corda e il serpente, la madreperla e l’argento, la canna di bambù e il serpente, l’itterizia che fa vedere giallo.
Tutto è pervaso da un solo spirito – satchitānanda
Unico rifugio
Luce perché non c’è null’altro da illuminare
Infinito onnipresente assoluto perfetto
Unica vera esistenza
Unica vera conoscenza
Finita avidyā, finito il dolore
Inconcepibile e indescrivibile
MACROCOSMO E MICROCOSMO: TUTTO È GIÀ QUI
“In questo corpo c’è il monte Meru circondato da sette isole, vi sono sette fiumi, mari, monti, campi e proprietari dei campi. Ci sono rsi (maestri) e muni (santi), tutte le stelle e i pianeti, i sacri tirtha (pellegrinaggi), i pitha (templi) e le divinità protettrici dei pitha. Vi si muovono il sole e la luna, autori della creazione e della distruzione. Vi sono pure l’etere, l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra.”
(Haṭha Yoga Pradīpīkā)
Quindi cosa ci azzecca con noi la realtà non duale? Con la nostra visione del mondo? Un bel po’: se non fosse così, potremmo proprio evitare di metterci a praticare.
Infatti, macrocosmo (l’universo, il mondo) e microcosmo (noi) sono fatti di un’unica sostanza, quell’unica realtà.
Nella cosmologia indiana si narra che l’unità primordiale – ŚivaŚakti, PurusaPrakriti – si ruppe; aprì gli occhi e si accorse di essere Uno, e da questo accorgersi la separazione di soggetto e oggetto. Śakti la forza dinamica, materica danza e Śiva, il principio immobile, restò affascinato dai movimenti di ma̅ya̅ tanto da illudersi di vedere un molteplice e variegato universo. Le na̅ḍi, i cakra, jīva, ahaṃkāra, indriya, karman…
Dalla primigenia polarità, l’emanazione sottile dei cinque elementi: etere, aria, fuoco, acqua, terra poi le qualità e gli organi sensoriali: suono – orecchio, movimento e tatto – pelle, immagine – occhi, sapore – lingua, odorato – naso. Così il mondo. Così noi.
RITORNARE ALL’ORIGINE
Il percorso dello hatha yoga è alla rovescia, quello dell’assorbimento o involuzione: dal mondo all’uno.
Per non rischiare di cadere in concettualismi, con il rischio di nutrire l’immaginazione, penso che l’esperienza della creazione del mondo sia semplice e visibile. Tutti i giorni cavalchiamo l’onda dei sensi che vagano, reagiamo al ricordo del passato, desideriamo altro per il futuro e costruiamo pensieri su pensieri, mondi su mondi costantemente. Basta accorgersi in quegli istanti di distrazione durante la pratica dove un semplice rumore diventa riconoscimento, piacere o disagio, desiderio.
Se fossimo dotati della sola mente e dei soli sensi, saremmo spacciati. Ma la nostra realtà è complessa e stratificata; non esiste solo il corpo o la mente ma corpi tra cui coscienza, principio senziente.
Non si tratta allora per uno yogin di diventare massimo esperto del corpo sottile e del suo colorito mondo di rappresentazioni simboliche così, tanto per accumulare siddhi (poteri) come una specie di rabdomante, ma di restare vicino alla totalità del proprio essere, nella piena esperienza di tutti i kosha (corpi).
“Se create un mondo intero di aspettative che riguarda l’occulto e il trascendentale, allora avete mancato il punto. Non può essere educazione, sarà manipolazione, come in un circo, sarà una specie di palestra psichica. Lo yoga non è una palestra psichica, non è né ginnastica fisica né psicologica, è qualcosa di molto sacro, è esplorare una nuova dimensione di coscienza, una nuova dimensione della vita stessa, nuove dimensioni di energia incondizionate.” (Vimala Thakar)
Nella prossima puntata passeremo all’azione: che cos’è la sadhana, la strategia pratica?
Bibliografia di riferimento:
Repetto M.P., (2006), “Śiva Saṃhita, lo yoga rivelato da Śiva”, Magnanelli ed., Torino
Spera G. (a cura di) (2009), “Haṭha Yoga Pradīpīkā, la lucerna dello haṭha yoga”, Magnanelli ed., Torino
Thakar V. (2000), “Lo yoga oltre la meditazione; sugli yoga sutra”, Ubaldini Editore, Roma
Thakar V. (2008), “Bhagavad Gita”, Mediterranee ed.