“Yoga-abhya̅sa: ṣaṭka̅rman, āsana, prāṇāyāma, mudrā, pratyāhāra, dhāraṇā, dhyāna, samādhi
Che questo sastra sia trasmesso a tutti coloro che desiderano la beatitudine. Attraverso la pratica il successo è raggiunto, senza di esso come può essere conseguito?”
Śiva Saṃhita
Dopo le prime puntate per orientarci in una visione d’insieme dello hathayoga, eccoci arrivati in questa puntata dedicata all’azione yoga, alla sadhana – la strategia.
“Si ottiene la realizzazione solo con la pratica, con lo sforzo sostenuto, con una attenzione continua a tutti gli aspetti dello yoga, sia che sia giovane, maturo o anziano, ammalato o debole.
La realizzazione si attua su colui che è veramente orientato nella pratica di yoga.
Come si attuerebbe su una persona inattiva? Non è soltanto leggendo i trattati che la perfezione può nascere.
Portare un indumento particolare non è sufficiente a raggiungere la realizzazione, come pure i discorsi riferiti a questo argomento.
E’ la messa in pratica (dei metodi di yoga) che è la sola causa che permetta la realizzazione.”
Tanto per iniziare questo primo chiaro avvertimento ci arriva dalla Hatha Yoga Pradipika: lo yoga non può esaurirsi in un vuoto atteggiamento, una concettualizzazione o una lettura teorica dei testi. Ci richiede una messa in azione, ci chiede la nostra intera partecipazione.
Non possiamo allontanarci dal predominio della mente con la mente stessa, non possiamo liberarci dai condizionamenti egoici agendo senza una direzione interiore, non possiamo evolverci spiritualmente pregando o conoscere dimensioni ignote di coscienza quindi energetiche, pensando.
Si ha la tendenza nel contesto yoga occidentale a separare gli ambiti: la filosofia per conoscere, la religione per amare incondizionatamente, la meditazione per la ricerca spirituale, la mindfullness per calmare la mente, lo haṭha yoga per rafforzare con qualità il corpo (fisico), kuṇḍalinī yoga per risvegliare il potere energetico e così via.
La haṭha yoga è una Via che non crea separazione.
Le vṛtti, il turbinio delle rappresentazioni mentali, portano a smembrare l’esperienza quindi creiamo una pratica per il corpo, la meditazione per lo spirito, una pratica per la respirazione. Mentre il senso profondo della pratica, quindi dell’azione, è creare le condizioni affinché tutto converga in uno stesso processo: mente (intenzionalità) – corpo – respiro, azione ed interiorità.
Certo una possibilità arriva dal karma, i grandi rishi illuminati da una potente comprensione della realtà e da quella si dipana poi la loro vita. Ma per noi comuni mortali, che si fa?
Prima di poter dire che tutto è yoga, quale azione può dirsi yoga?
Il secondo libro degli Yogasutra di Patanjali, quello dedicato alla sadhana, inizia proprio con questa indicazione:
Tapaḥsvādhyāyeśvarapraṇidhānāni kriyāyogaḥ
L’azione yoga, l’esercizio della pratica yoga, deve coinvolgere, risvegliare, nutrire, sinergicamente questi tre aspetti:
- Tapas – ascesi, ardore, fuoco dalla radice tap che significa scaldare, cuocere, bruciare.
- Svādhyāya – studio di sé attraverso la tradizione.
- Iśvara pranidhānā – lasciare andare, lasciare la pretesa di ottenere qualcosa, offrire i frutti dell’azione a ciò che non dipende dal nostro controllo cosciente, alla sacralità dell’esistenza o, perché no, per chi crede, a Dio.
Il secondo sutra ci indica il senso e la direzione di questa azione: creare le condizioni per il samadhi e attenuare le fonti della sofferenza, ovvero i cinque kleśa:
- avidyā – ignoranza, non vedere
- asmitā – il fatto di dire “io sono”, egotismo
- rāga – attaccamento a ciò che ci piace
- dveśa – avversione a ciò che non ci piace
- abhiniveśa – attaccamento alla vita, la paura della morte
Una pratica quindi risulta necessaria, un’azione che non sia assoggettata al gioco della reazione è necessaria.
Quindi, cosa dobbiamo fare? Intanto, paradossalmente, uscire dalla logica del fare, dalla logica causale e duale, dal dettaglio che caratterizza la nostra realtà psichica per aprirci alla totalità, territorio dell’esistenza coscienziale.
Sa̅dhana, è un processo che offre una direzione nella usuale dispersione sensoriale per creare le condizioni per essere sempre svegli. Nell’azione costruiamo la nostra interiorità, occasione di incontro di sé per chit e di unione con la sua espressione energetica.
Sa̅dhana ci collega con l’origine, il centro dell’essenza vitale.
Sa̅dhana, ciò che un individuo decide di perseguire per tutta la vita, giornalmente. Tutti i giorni contattiamo la nostra interiorità fino a che il mentale perde la sua priorità.
In un dialogo con un ricercatore Ramana Maharshi diceva che, come ci sono diversi sentieri per salire su una collina, così anche per raggiungere la vetta dello yoga ci sono diverse vie; inutile perdere tempo nel percorrere una via che non ci corrisponde. Uno dei sentieri che possiamo percorrere è appunto lo hatha yoga.
Le pratiche dello haṭha yoga sono vaste e diversificate ed anche specifiche. Tuttavia non sono tappe di un percorso di apprendimento ma membra di un corpo – anga – che crescono armoniosamente e, proprio come in ogni cellula, contengono la totalità dell’essere umano.
Dalla Gheraṇḍa Saṃhita una sintesi della pratica suddivisa nei sette processi – sa̅dhana e le sette discipline – alaksa che le realizzano che appartengono a questo ghaṭastha yoga:
purificazione (śodhana) – ṣaṭka̅rman
forza (ḍrḍhatā) – āsana
stabilità (sthiratā) – mudrā
calma (dhiratā) – pratyāhāra
leggerezza (lāghavā) – prāṇāyāma
percezione sensoriale diretta (pratyaṣka) – dhyāna
distacco (nirlipta) – samādhi
Così dalle pratiche di purificazione, alle āsana in una soluzione di continuità sino a dhyāna si può vivere la totalità dell’esperienza, la sacralità della vita, la dimensione spirituale di uno yoga autentico.
È vero che lo haṭha yoga non si cura del metodo e della forma ma non esiste una Via di realizzazione senza sa̅dhana.
Nelle prossime puntate ci tufferemo nello yoga-abhya̅sa a partire dalle pratiche di ṣaṭka̅rman.
Bibliografia di riferimento:
Repetto M.P., (2006), “Śiva Saṃhita, lo yoga rivelato da Śiva”, Magnanelli ed., Torino
Spera G. (a cura di) (2009), “Haṭha Yoga Pradīpīkā, la lucerna dello haṭha yoga”, Magnanelli ed., Torino
Godman D. (a cura di), “Ramana Maharshi ed il suo insegnamento”, ed. Il Punto
Yogasutra di Patanjali (appunti G. Blitz e J. Varenne)
Appunti e riflessioni dalle lezioni condotte da A. Nuzzo